Opere Inedite


Le stelle

febbraio 1985-ottobre 1986

Le Stelle

Feritoie le stelle, casa all’infinito
che la notte continuano che muore:
-Che cosa chiedi, Ettore, ferito,
al nostro bianco cuore?

L’abisso che ci nutre e che non cura
di dare volto e anima alle cose
quante volte ci vinse alla paura
di dare luce! Fiori alla Notte, rose

del tuo giardino, acqua, parole
che la notte traversano. È la vita
che lascia la sua casa senza sole

la nostra notte accresce, la ferita
sulla pelle del cielo che non cura
la parola che in noi rinasce e dura!-


Il movimento


La notte sarà nera, sarà bianca:
non aspettarmi! L’aria mi imprigiona.
Sulla terra la mano scrive stanca
il canto muto che nei cieli suona.

Non aspettarmi. Il tempo mi confonde.
Nell’abisso ho cercato il movimento,
ma nulla muta in cuore alle profonde
stelle, se a mutare non è il vento.

Oh ali avessi, a giungere alla morte
della mia stella chiusa al suo destino!
Ora ho te che mi ami sulle Porte

Scee della vita. O stella del mattino!
Nuova parola nasca al tuo infinito
morire, al nostro vivere smarrito!

 

Le parole di Ettore


Il tuo corpo di lacrime bagnavo
l’anima ricercavo sulla pelle.
Ma i miei occhi, i miei occhi, vuote stelle
sembravano al mattino. Ti guardavo

e il tuo disparire innamorava
ai nomi e al canto che pensavo amore.
Tra i tuoi capelli l’anima indugiava
se vita È il cominciare del dolore.

O quante volte al nascere del giorno,
quante volte al morire della sera
hai pianto, e hai temuto il mio ritorno!

Ma se ogni morte inizia in primavera
del sole ti ho privato, poi che vedevo
sciogliersi la tua anima di cera.


Le parole di Andromaca

 

Il mio corpo di lacrime bagnavi,
l’anima ricercavi sulla pelle.
Ma i tuoi occhi, i tuoi occhi, vuote stelle
sembravano al mattino. Mi guardavi

e il non essere più ti innamorava
ai nomi e al canto che pensavi amore.
Tra i miei capelli in vento raccontava
che vita è il cominciare del dolore.

O quante volte al nascere del giorno,
quante volte al morire della sera,
piansi, amando e temendo il tuo ritorno.

Per la mia fredda anima di cera
del sole mi hai privato, poi che dicevi
che ogni morte comincia in primavera.

 

L’attesa


Ora che insieme a me hai ritrovato
la via più breve per il tuo dolore
che l’alba passi attendi e che il tuo cuore
si ritrovi nel canto abbandonato.

O sole nero della nostalgia!
O musica del mare che ci opprime!
Dove bianchi gabbiani la follia
cantano del silenzio che redime!

Vecchia è la nave, e la meta non sicura
temi del tuo viaggio. Assai felice
chi primo visse l’ultima avventura

nella luce che incanta e che non dice.
Poi che la notte d’oro che discende
a non curare invita, e ad aver cura.


Il niente


Intuire è morire a morte cose,
comporre dai frammenti l’armonia,
se nei tuoi occhi il canto delle rose
si perde e ricomincia. Fantasia

è il tuo volto che appare e che colora
nere le nevi di un antico amore:
fantasia è l’apparire che innamora
alle immagini chiuse del dolore.

E il canto si fa vita tra la gente
che non ha voglia più di ritornare.
Quel che abbiamo vissuto è il puro niente

che s’agita e invita a raccontare
di quante volte amammo di morire
alla vita, come foglie in riva al mare

 

La morte di Ettore

 

Un dio mi vinse. Vinsero gli inganni
di un dio poi che conobbi la paura
di diventare eroe, sulle alte mura.
Cosa resta di noi, per tanti anni

amati dai deserti e dal dolore?
Vidi il padre morire poco a poco
piangere tra i nemici col signore
della mia fine. Il respiro del fuoco

fratelli li convinse al cibo e al pianto
protetti dalla luce innamorata.
Abbi di noi pietà., pietà nel canto

infondi. Se l’Amore che nasce come dono,
e non finisce quando noi finiamo,
dagli inganni ci salva, e dal perdono.


I cammini in Ade

 

Trascorre il tempo e la neve discende
di fiore in fiore in questa valle oscura.
Sulla memoria hai posto sacre bende
e il tempo spegni e il fuoco e la paura.

Solitari cammini il fuoco segna
tra noi che non vogliamo conquistare.
Amore disperato, amore vegna
il tuo regno, e sia e non sia! Appare

una immagine muta. Il cuore tace
(poi che ritorni a me sempre più sola)
e nuda il canto inventi. Chiedi pace

per chi di noi ha pietà, per chi non vola;
per chi, nelle regioni del dolore,
nelle sue stelle bagna la parola.

 

La soglia


La soglia che divide e che affatica
oscura notte seminò nel cuore.
Eroe divenni di una lotta antica
del mio tempo privato e dell’Amore.

Non mi voltai più dopo quel giorno,
non lessi più nel volto delle rose.
Conobbi in lei il dolore del ritorno
la muta via delle perdute cose.

Poi fu la parola il mio destino,
poi fu la morte l’ultima avventura.
Crebbe in cuore il poema a chi vicino

alle Porte conobbe la paura.
Poi che nel vuoto tu hai seminato
la parola che illumina e che oscura.

 

Nel cuore delle stelle

 

Vaghe, lontane immagini del vuoto,
chiare ferite sulla notte antica,
luce che non si spegne, luce amica
della memoria. Di moto in moto

l’infinito si limita e riversa
sulle mani che tremano la vita
che mai di sé conobbe. Vaga, persa,
l’anima in quei cieli è custodita.

E penso a come appaiono mutevoli
le stelle ai primi occhi di un bambino!
Pianto della memoria, ora i tuoi voli

riconoscono il segno della pace:
nei giardini dell’anima il destino
coltiva il mio dolore che non tace!


L’abbandono

 

Musica è il dolore senza danze,
in armonia di lacrime finito.
Alta la luce volgi! In queste stanze
noi celebrammo il nostro amore, un rito

che più non celebriamo. Ma è tempo ora
di lacerare il Tempo! Più del mio
forte è il desiderio che innamora
a dar vento alle vele. Un nuovo dio

mi vinse, il fuoco, l’abbandono.
Che cosa intorno a noi non chiede pianto?
Piango l’abbraccio che io ebbi in dono

il tuo bacio leggero, il caldo seno:
di mute stelle udendo il verde suono.
Che cosa intorno a noi non chiede pianto?

 

La morte di Andromaca

 


Aiutami a morire del tuo amore
ora che è notte e nascono le stelle.
Il mio sguardo non chiedere che il cuore
oscura del tuo cuore! Sai che in quelle

nostre serene spiagge senza il mare
i gabbiani non abitano e la luna
più non tramonta. È destino il guardare
per noi che non viviamo. In una

oscurità senza ritorno mi appartieni
come ciò che non sei, come il mio niente.
Ora sei il mio apparire, ora che vieni

soltanto immaginata. Poi che assente
la nostra vita a noi diventa canto
e memoria il dolore del presente.

 


L’ultimo sguardo

 

Ora piango te e me e i dolci sguardi
che raggiava il tuo corpo senza veli.
Ora che più non sei, ora che è tardi
la memoria fiorisce di asfodeli.

Più non tormenterà la dolce aurora
quel folle desiderio di annegare:
tramonta il sole, e piange la sua ora,
che illumina gli abissi e oscura il mare.

Non parla ancora il bambino
che generammo. Non dice parola
ma chiede. Immemore è del destino

che al pianto ti vince, a credere
sola ragione morire all’amore.
Non parla ancora, non dice parola!


La prima luce

Di mute stelle udendo il verde suono
chi piange e canta il bianco dei suo mali?
Chi piange dei deserti l’abbandono
se ci impaura un battere di ali?

Muove le stelle il tuo cammino ancora,
perduta in un immobile destino.
In un vento di luce che innamora
nacque il mio giorno insieme al tuo mattino.

Come bianca ora appari, ora che tenti
dolce il sorriso della primavera!
Chiara fu prima luce, occhi ridenti

il primo sguardo che io ebbi in dono
il primo rosseggiare della sera
il primo canto il pianto l’abbandono.


Le due notti

Memoria della memoria,
è questo il Regno
che due Notti congiunge
e tra le Stelle
inventa il segno nuovo
della vita.
Ma ora tu racconti
di quanto amore un giorno ti confuse
(era sera in quel luogo in abbandono:
sognavi un tetto, le persiane chiuse,
una luce, una culla, un letto, il suono
di un’altra vita che non arrivava.
Non conosceva nascite improvvise
il tuo dolore che nei cieli stava).

O quanto amasti la figura bruna
che venne con il vento della sera!
E forte lui ti amò come nessuna.

 

 

 

 

 

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Brano 1

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